In
questi giorni, in cui la cronaca ci riporta in Kosovo, è naturale sentire come
certe realtà sembrano esistere solo quando conquistano le pagine dei giornali.
Sono i morti _ e solo se in numero sufficiente _ che rendono reale per noi un
popolo, un paese, una storia. Una volta terminato il conflitto, sul Kosovo è
sceso l'abituale velo della distanza. Eppure la guerra appena terminata non è
stato che un momento di crisi visibile, e la pace, estremamente fragile, ha
lasciato irrisolta gran parte dei problemi. Tra la guerra e la pace, uomini e
donne reali hanno continuato a vivere i loro drammi, che il conflitto, come accade
spesso, ha reso magari ancora più tremendi. Qual è la responsabilità del
cronista, in tutto ciò? E un calcolo cinico, quello che porta il giornalista a
fingere partecipazione in un evento storico, finché esso «tira», salvo poi
soffrire di amnesie e infatuazioni nuove, al cambio del vento della storia?
Queste domande sembrano essersi posti un giornalista italiano e una sua collega
kosovara, nel concepire questo libretto a quattro mani, da poco uscito per le
edizioni La Meridiana. «Un treno per Blace» (La Meridiana, pagg. 126, L.
18.000) l'opera congiunta di Filippo Landi e Ilire Zajmi, racconta a due voci i
giorni immediatamente precedenti l'intervento Nato, con l'esodo forzato di
migliaia di kosovari di etnia albanese, i campi profughi, la pulizia etnica,
fino ad arrivare ai bombardamenti sulla Serbia e all'entrata delle truppe
dell'Alleanza. Ma sbaglierebbe chi cercasse nel libro un approfondimento
politico su quella ambigua e indecifrabile guerra, che sembra oggi essere stata
perduta da tutte le forze in campo. Animati dall'amicizia che li lega, da un
certo sgomento impotente davanti agli orrori che si preparano, i due
giornalisti che allora inseguivano la cronaca, e si sforzavano di raccontare a
un pubblico lontano la logica dei fatti, hanno affrontato in queste pagine un
altro tema. Attraverso una sequenza di fatti umani, di ritratti estemporanei
catturati a un posto di frontiera, in un campo profughi, cercano di
trasmetterci il contenuto umano di quei giorni. E la sensazione è di caos.
Quello che poteva sembrare logico visto dalle telecamere o dalle riprese dei
bambardieri, visto dal basso assume l'aspetto di una serie di eventi senza
senso, dove la gente pacifica e ragionevole è portata inavvertitamente verso le
opzioni più estreme. Dove i gesti più normali, come andare al cinema, uscire a
cena, divenano assurdi. E si capisce come la convinzione di aver portato aiuto,
grazie a qualche settimana di bombardamenti e a una passeggiata militare, non
sia che una ipocrisia. Nel frattempo, in Kosovo come nella Federazione
Jugoslava, le due fazioni violente, si sono rafforzate. Se Milosevic è ancora
al suo posto, la parte pacifista di Rugova è messa in secondo piano dall'Uck. E
tutto fa pensare che una pace durevole sia lontana. La testimonianza di questo
libro, se poco aggiunge a quello che si reisce a capire di quell'enigma che
sono i Balcani, ha il merito di sfondare il sipario della cronaca e di lasciare
memoria degli uomini e delle donne che dietro ad esso si muovono.
Wednesday, May 13, 2020
«Un treno per Blace» di Filippo Landi e Ilire Zajmi Cronaca ragionata di una guerra senza fine
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